Baby Jesus – Words of Hate

LP
Maggio 2020
Tiratura: 300 copie

Formato: Tag
Etichetta: Area Pirata

15.00

13 disponibili

Baby Jesus – Words of Hate

Baby Jesus è il suono che vorresti sentire quando entri in un club R’n’R. Questo gruppo di quattro elementi originario di Halmstad, in Svezia, è riuscito a incanalare l’energia grezza attraverso un registratore analogico ed il risultato è un concentrato di rock, psichedelia, surf, garage e punk. Dopo aver pubblicato due album “Baby Jesus” (2015) e “Took Our Sons Away” (2017), i nostri stanno ora per diffondere la loro terza creatura nel mondo.

“Words of Hate” (2020), in uscita il 1° Maggio 2020 a cura della label Italian Area Pirata, consiste di energia viva in bottiglia, assieme a sudore, sangue, lacrime, canti e danze. Le sue “13 tracce” sono la migliore sintesi di ciò che sono i Baby Jesus. Come ha detto Psychadellic baby Magazine: “This is gnarly garage psych in its truest form right here, folks. No bullshit, no fucking around“.

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Recensioni:

Svedesi e capelloni, i Baby Jesus trovano dimora in Italia per licenziare il loro terzo album, il meno aggressivo del lotto.

Si apre alla grandissima con una No Reason at All che è un tripudio di merda folk-rock malata come e più di quella di Roky Erickson per poi approssimarsi ai Black Lips di Good Bad Not Evil e ai Frowning Clouds con la successiva Do Worry, dopodiché gran parte di Words of Hate finisce per suonare come una sorta di Merseybeat lasciato in pasto ad un branco di zombi per farne scempio e ruttare sazi su una cosa come Girl Bangs, con l’ombra nera di Link Wray che passeggia fra e sui vetri.

Un suono sgarbato, strafottente e dinoccolato, quello dei Baby Jesus. Che sembra approssimativo ma è invece ricco e perfetto più di quanto lasci vedere (ascoltate in cuffia cose come Who You Are, Red Fangs o Baked for Money per scrutarne la filigrana come fate con le banconote quando le mettete in controluce, NdLYS).

Un Gesù perennemente bambino che non ha ancora imparato le parole d’amore. E che ha messo su la sua prima garage band.

Lys Di Mauro 10/04/2020

 

Terzo album per la band svedese, pubblicato dalla nostrana Area Pirata. Ottimo garage rock, rock’n’roll primitivo e sporco, sound grezzo di gusto 60’s punk ma anche escursioni nel folk rock più sghembo e “stonato”. Originale e particolare, imperdibile per gli amanti del genere.

Antonio Bacciocchi – RadioCOOP 13/05/2020

 

La nostrana beneamata Area Pirata ha stampato l’ultimo volume di Texas Flashbacks di cui sentivamo tanto la necessità? Parrebbe di sì, ma poi si leggono i nomi e si capisce che questo bel fluire sonoro di garage cattivamente psichedelico è tutto del nord Europa ed è roba suonata da giovani capelloni di adesso. Insomma ci si sollazza lo stesso, ma è una goduria di ora ed è targata Svezia (!). Tanto meglio. I Baby Jesus suonano come gli Elevators, certo non c’è lo stesso genio creativo, la riproposizione è pedissequa e tutto sa di deja-entendu, ma noi che già abbiamo amato il garage revival degli anni Ottanta non
possiamo che essere felici di questa uscita, abbondantemente soddisfatti da pezzi come Do Worry, la stupenda Red Fangs, la più “moderna” Words of Hate, l’energica quanto realistica No Money. Tredici pezzi in tutto. E lode ad Area Pirata, che ormai da tanti anni non sbagli un colpo!

Mary Ano – Trippa Shake Webzine 19/05/2020

 

Quando sei svedese e nella vita vuoi suonare musica grezza e immediata – intrisa di sudore e miasmi psichedelici, possibilmente unta dal sancta sanctorum 60’s – ti trovi in una situazione molto particolare e delicata: almeno non sfigurare nel confronto (improbo) con i tuoi illustri predecessori.
Creeps, Stomachmouths, Crimson Shadows, Nomads sono semplicemente leggende del Garage mondiale cui i Baby Jesus cercano di carpire i fondamentali del Verbo, album dopo album.
E con “Words Of Hate” – terzo lavoro uscito in pieno lockdown – ribadiscono il concetto con ancor più veemenza, buttando giù 13 canzoni che pescano sì dal mazzo, ma ampliando generosamente il ventaglio di riferimenti sonori al netto di paletti di spazio – tempo – genere.

Ecco allora i Morlocks, Link Wray, i Creedence e pure i Black Lips fare capolino qua e là tra schizzi surf, ballad folk marziane, jingle jangle lisergici e un paio di tirate dal DNA punkettone proprio niente male.
Dunque posso tranquillamente affermare che la missione dei kids di Halmstad è riuscita.
Vale a dire ritagliarsi un angolino accogliente subito alle spalle dei loro antenati blasonati, nonostante un refresh compositivo – circostanziato proprio in “Words Of Hate” – che li rende più protagonisti contemporanei che nostalgici revivalisti.
Per gli amanti del Garage e del Rock And Roll in generale.

Ascolta: “No Reason At All”, “Red Fangs”, “Baked For Money”, “Who You Are”.

Davide Monteverdi – Razzputin Crew Milano 20/05/2020

 

Mi sembra doverosa, prima di parlare di questo disco, una mia umilissima dissertazione su cosa sia per me la psychedelia e su dove trovi il suo apogeo.

La psychedelia non è il suono masturbatorio di tante band sopravalutate e dei loro brani pieni di inutili e noiosissimi assoli, ma è il ruggito acido fulmineo di gruppi come i 13th Floor Elevators, i Pink Floyd del primo e di parte del secondo disco, gli Electric Prunes, i Seeds, i Plan 9, i Plasticland, i Beatles perché checchè se ne dica i fab four sono (quasi) sempre stati geniali, gli Small Faces e, per restare nei patrii confini, gli indimenticabili Steeplejack.

Di psychedelia è pregna anche la follia splendidamente sbilenca dei Black Lips di Let it Bloom, perché in fondo psychedelia e follia possono essere considerati quasi sinonimi. Questa lunga, ma spero non tediosa, premessa mi è stata utile per introdurre questo disco perché il suono dei Baby Jesus è principalmente psych anziché garage, anche se le due cose non sono affatto antitetiche.

Non sono forse un omaggio a Roky Erickson e compagni l’iniziale No Reason at All e Red Fangs?

Con la voce filtrata che sembra provenire da un altro affascinante pianeta.

Per Do Worry invece si potrebbe scomodare un paragone più “attuale” con il sound dei texani Gris Gris mentre Country I C, come si evince dal titolo, è country ma storto alla maniera dei Country Teasers. Il riferimento ai sopracitati Black Lips è quanto meno fondato nell’incedere scombicchierato di No Money e se in Baked for Money sembra di ascoltare un pezzo freakbeat alla Embrooks Who Are You scomoda i sunnominati Small Faces.

Penso di aver fatto capire a chi ha avuto la compiacenza di leggere queste righe che a me questo disco è piaciuto e pure parecchio.

Accomodatevi sul divano, mettete sul piatto Words of Hate, chiudete gli occhi e lasciatevi avvolgere dalle voluttuose spire dei Baby Jesus perché, come diceva qualcuno, naufragar m’è dolce in questo mare.

Diego Curcio – Huskercore blog 09/06/2020

 

“Words of hate” dei Baby Jesus è un disco della madonna. Inutile girarci troppo intorno. La band svedese, con questo suo terzo album pubblicato in vinile dall’italiana Area Pirata, ha fatto centro. Garage, country, surf, power-pop e psichedelia si fondono alla perfezione in un mix perverso e irresistibile, che ricorda i Black Lips più scanzonati degli ultimi bellissimi dischi. L’album è pieno zeppo di canzoni dalle melodie svogliate e sopraffine, suonate con uno scazzo magistrale e una dolcissima indolenza. “Country I C” – la mia preferita in assoluto – “Red fangs”, “Who you are” e la title track “Words of hate” sono dei veri e propri gioielli di rock sfilacciato e zuccheroso, che ti restano addosso come il fumo di una sigaretta puzzolente. “Bjorns” e “No money”sembrano appena uscite da un volume perduto “Nuggets”, mentre il blues-punk malato di “Baked for money” è quasi un’invocazione laica al dio del rok’n’roll. Ma se continuo di questo passo finisce che vi elenco ogni singolo pezzo e mi metto a svarionare come al solito. Il fatto è che “Words of hate” non ha un brano debole neppure a pagarlo. Ogni canzoni vale il prezzo del biglietto. Quindi poche storie: fate vostro questo disco e mi ringrazierete per il resto dei vostri giorni.

Luca Calcagno – InYourEyes ‘zine 03/06/2020

 

I Baby Jesus sono un quartetto svedese che per il terzo disco ha deciso di incidere per la pisana Area Pirata. Il loro sound si caratterizza per essere un bel mix di garage, rock, psichedelia e punk. In tredici brani “Words of hate” si dipana lungo le coordinate del del miglior garage sia tradizionale che più recente. Il disco parte con il classic garage degli anni ‘60 di “No reason at all”, in cui sembra di ascoltare i Them sotto acido, per poi giungere alle circolarità di “Do worry”, brano in linea con il garage sfacciato dei Black Lips. Il country-punk sincopato di “Country” non è molto lontano dai migliori Chrome Cranks, anche se gli svedesi sono meno rancorosi e isterici. Il surf di “Girlbangs” è particolarmente inquietante, degno di un noir diretto da Quentin Tarantino, ma la successiva “Bjorns” culla l’ascoltatore in un rassicurante soul-pop-r’n’b. Per scuotere le chiappe assestano un bel montante con la frizzante “No money” e con “Backed for money” intrigano perché ci regalano un soul primitivo, che neanche i Beasts of Bourbon hanno avuto il coraggio di cantare. Un gran bel disco!

Vittorio Lanutti – Freak Out 05/08/2020

 

Originari di Halmstad, i Baby Jesus arrivano a noi tramite Area Pirata Records per un full leght riuscito ed immediato, definito da strutture garage rock, in cui punk, alternative e surf offrono il background ideale per sviluppare la terza fatica della band svedese.

A dare inizio al disco è un forte sentore Velvet Underground, le cui note tornano in un quadro di reminiscenze espressive, libere dal tempo (cadenzato) di No reason at all, in cui la metrica regolare viene disegnata con l’ausilio di intermittenze inattese. Il sound, immediato e privo di inutili fronzoli, sembra conquistare sin dai primi passaggi, proprio come dimostra il (proto)punk rock battente e minimale di Do worry, in cui sonorità seventies anticipano una tra le tracce più interessanti del full lenght: Country I C. La composizione, leggiadra e caratterizzante, offre spazi west e venature diversificate in grado di riunire brit pop con il mondo di Brian Wilson, ponendosi tra cornici fondamentalmente rock.

I giochi narrativi proseguono poi con gli echi surf di Girl bangs, in cui l’uso delle toniche funge da metodica consuetudine espressiva, e il rock vintage di Bjorns, innestato tra keyboards e elementi pshych-prog, che vanno ad impreziosire una set list avvolgente e ben bilanciata.

La band riparte con un lato b immediatamente definito dall’ottimo surf & punk di No money, in cui sensazioni resofoniche si intrecciano a filtri e assoli fifty, deformati da intelaiature ardite, pronte ad uscire da quelle sonorità attese che a tratti portano in dote sensazioni Stones anni ’60. Il disco scorre veloce verso Lunas song, pronta a proseguire il viatico tra note passatiste, e la leggerezza di Who you are con cui la band torna sulle tracce del brit pop innervato di intuizioni punk del west end, per poi andare a chiudere il buon disco con la partitura di Haschbrowns che, con il suo mood, ancora una volta ci accompagna tra gli Happy Days di un tempo, che sembrano essere ahimè eccessivamente lontani.

Insomma, non dubitate, perché Area Pirata si sta confermando una delle migliori label indipendenti del momento. Ascoltate, ballate, comprate e continuate a ballare all’ombra di un disco che, in questo mese, ha occupato il mio stereo per molti più giorni di ciò che credevo.

Loris Gualdi – Music on TNT 15/07/2020

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